I Serpari (Cocullo)

La statuta di S.Domenico in processione a Cocullo.jpg
Di Ewa hermanowicz – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=68708528

La festa dei serpari è una festa che si svolge a Cocullo il 1º maggio a partire dal 2012 (precedentemente aveva luogo il primo giovedì di maggio) in onore di san Domenico abate, ma di origini antiche riconducibili al rito pagano di venerazione della dea Angizia.

San Domenico risulta essere particolarmente venerato a Cocullo, ma anche a Villalago, perché patrono di entrambi i paesi abruzzesi: difatti a Cocullo vengono conservate due reliquie del santo: un molare ed un ferro della sua mula. Un altro molare del santo è conservato invece nella chiesa principale di Villalago.

La festa è stata candidata presso l’UNESCO come Patrimonio immateriale dell’umanità.

Ogni anno il 1º maggio (data istituita negli anni ’60, poi riconfermata a seguito del terremoto del 2009, nel 2012) si celebra a Cocullo un antichissimo rito, trasformatosi in una festa sacraprofana. Tutto ha inizio con i serpari che alla fine di marzo si recano in montagna in cerca dei serpenti. Una volta catturati, vengono custoditi con attenzione in scatole di legno (in tempi remoti dentro dei contenitori di terracotta) per 15-20 giorni nutrendoli con topi vivi e uova sode.

Questa usanza sarebbe legata ai riti pagani dei Marsi, antico popolo italico. In epoca contemporanea viene celebrata in onore di San Domenico che è ritenuto protettore dal mal di denti, dai morsi di rettili e dalla rabbia. San Domenico era un monaco benedettino di Foligno che attraversò il Lazio e l’Abruzzo fondando monasteri ed eremitaggi. A Cocullo si fermò per sette anni, lasciando un suo dente e un ferro di cavallo della sua mula, divenute delle reliquie.

Per questo la mattina della ricorrenza, nella chiesa a lui dedicata, i fedeli tirano con i denti una catenella per mantenere i denti stessi in buona salute e poi si mettono in fila per raccogliere la terra benedetta che si trova nella grotta dietro la nicchia del santo. La terra sarà poi tenuta in casa come protezione dagli influssi malefici, sparsa nei campi per allontanare gli animali nocivi oppure sciolta nell’acqua e bevuta per combattere la febbre. Per alcuni storici questa festa è da correlare ai culti della dea Angizia, principalmente venerata presso gli antichi Marsi. Per altri studiosi invece, la si deve attribuire alla mitologia di Eracle. Infatti nella frazione di Casale sono stati rinvenuti dei bronzetti votivi raffigurante proprio Eracle che, come si sa, strangolò nella culla i due serpenti mandati da Era per ucciderlo[2].

Il rito è riconducibile ai culti della dea Angizia, venerata soprattutto dai Marsi e dai Peligni, antiche popolazioni italiche. Nell’Eneide è presente la figura di Umbrone, giovane serparo marso: alleato di Turno nella guerra contro Enea, sarà ucciso dal capo troiano in persona. Le origini del culto attuale sarebbero invece da far risalire, probabilmente, alla seconda metà del secolo XVI.[senza fonte]