Lezione 18 – Accademia linguistica

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A Napoli, nel 1662, fu pubblicato un bizzarro libro dal titolo L’eccellenza della lingua napoletana con la maggioranza alla toscana.

L’opera, scritta da un anonimo “Partenio Tosco, accademico lunatico”, voleva essere una sorta di parallelismo fra la lingua napoletana e quella toscana in cui, il nostro autore, mettendo a confronto una serie di parole, desiderava dimostrare (cadendo a volte nel ridicolo a causa di un atteggiamento palesemente esagerato) che il napoletano era più “logico e valido” del toscano, oltre al fatto che si era mantenuto più vicino al latino.

Ecco a voi alcuni esempi:

La gola la chiamiamo canna, per la metafora della canna rotonda, nodosa e vuota, essendo la cosa più bella della gola la rotondità, e avendo essa nodi, oltre ad essere vuota per la formazione della voce, come gli organi e altri strumenti del genere. Diversamente dai toscani che, col loro termine, fanno pensare alla golosità per i cibi, tanto è vero che dicono “Com’è goloso colui”.

I mostacci sopra le labbra… i toscani li chiamano basette. E qui non ci vedo nessuna relazione, in quanto questi non servono di base ad alcuna cosa, perché sono i mostacci ad essere sostenuti dal labbro. Quindi mustaccio è più appropriato, per trovarsi attorno al muso.

L’ombelico noi lo chiamiamo vellicolo. Il termine toscano è da ritenersi improprio, mentre il nostro ha un etimo certo, derivando da vellus colò, perché è in prossimità del colon.

Le asselle o ale sotto le braccia, noi le chiamiamo tetelleche. Nella parola asselle o ale che si voglian chiamare, v’è improprietà, considerato che l’uomo non vola, pur avendo le ascelle nella stessa sede in cui hanno l’attacco le ali vere e proprie gli uccelli. Delle tetelleche è chiaro il riferimento al solletico che prova chi è toccato in quel posto. “L’uomo si solletica!” dice il toscano; noi diciamo “Se tèlleca”, di qui tellecare.

(Il seguito… alla prossima puntata!)