Territori Musicali

Lezione 6 – Gli accenti

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Qualche anno fa andai in Giappone, fu un viaggio molto interessante da cui ritornai con la sensazione di aver ricevuto una vera e propria lezione di vita “linguistica e ortografica”.

Avevo scoperto un paese in cui tutto era ordinato e pulito, con giardini curatissimi, cibo saporito, mezzi pubblici che non facevano un minuto di ritardo e per di più abitato da persone educate e gentilissime. Cosa vuoi di più dalla vita?

Beh, ci furono due cose che mi lasciarono disorientato: i prezzi (altissimi per il tenore di vita di un modesto e onesto lavoratore italiano) e il loro incredibilmente complicato sistema di scrittura.

Cercherò di spiegarvelo velocemente.

Per scrivere non usano le lettere dell’alfabeto ma gli ideogrammi (chiamati kanji), cioè dei graziosi ‘disegnini’ ognuno dei quali rappresenta una singola parola del vocabolario giapponese: sostantivi, verbi, aggettivi e nome di persona (sono circa tremila ma – fortunatamente – nel vocabolario di base se ne usano sì e no la metà). Beh, considerate che – se solo volete dare una scorsa a un giornale – dovete conoscerli a memoria, altrimenti capirete poco o nulla!

Essendo ‘disegnini’, mi chiesi come fosse possibile farne un dizionario (con quale criterio li elenchi?). La mia interprete mi spiegò che ogni ideogramma – ovviamente – ha un suono, e che questo suono può essere trascritto usando un alfabeto detto hiragana (che non è costituito da 26 lettere come il nostro ma da 106 sillabe. Cioè altri 106 “disegnini”!).

Allora io, incuriosito dalla targhetta che mi avevano spillato sulla giacca, le domandai “Ma allora, avete usato l’hiragana per scrivere il mio nome su questa targhetta?”.

“No, l’hiragana serve solo per i kanji e per i vari termini grammaticali (congiunzioni, preposizioni, ecc.)! Per scrivere le parole straniere usiamo un altro alfabeto, il katakana: altri 107 ‘disegnini’!”

Non volevo crederci! Giuro che pensai che mi stesse prendendo in giro!

Notato il mio sguardo perso… concluse aggiungendo che ce n’era ancora un altro, il rōmaji, cioè la scrittura del giapponese con le lettere dell’alfabeto latino (le nostre 26 lettere, usato per i prodotti commerciali occidentali, per l’uso dei computer e dei telefonini con tastiere occidentali, ecc.).

A conti fatti… un libro scritto in giapponese è quanto più si avvicina a una Torre di Babele.

L’anno scorso, ad un mio seminario sull’ortografia napoletana, partecipò un giovanotto che aveva evidenti lacune grammaticali. Palesemente confuso (nonostante le mie spiegazioni più che elementari) affermò sospirando “Madonna, com’è difficile a scrivere in napoletano!”.

Difficile il napoletano????? Caro mio… e sapessi il giapponese!!!