Territori Musicali

Lezione 3 – La vocale muta

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In Italia, ai tempi dell’antica Roma, anche se erano presenti almeno un migliaio di parlate differenti, si scriveva solo in latino (la parlata dei romani). Quest’ultima era detta lingua, tutte le altre… volgari (del volgo, del popolo).

Nel lungo periodo dell’Impero Romano (quasi mille anni) la presenza del latino influenzò fortemente tutti i volgari.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d. C.) ogni località della nostra stupenda penisola – essendo rimasta abbandonata a sé stessa – fu preda facile per i popoli invasori (normanni, arabi, visigoti, ecc.) e ogni volgare si ritrovò a subire altre nuove influenze linguistiche.

Ma nonostante ciò… il latino continuò ad essere, fino alla fine del medio evo, l’unica lingua italiana ufficiale e scritta.

Ma, più il tempo passava, più i nostri avi si rendevano conto che era inutile continuare a utilizzare il latino, perché non la parlava più nessuno: era ormai una lingua morta! E così i vari letterati iniziarono spontaneamente a scrivere nel proprio volgare: siciliano, pugliese, napoletano, fiorentino, ecc.

Per definire la “data di nascita” del volgare italico scritto (l’italiano) si fa riferimento ad un atto pubblico risalente al marzo del 960: la Carta Capuana!

Guarda un po’… era in volgare napoletano!!!

Si tratta della sentenza emessa da Arechisi, giudice di Capua, riguardo ad una contesa fra l’abate Aligerno (del Monastero di Montecassino) e Rodelgrimo d’Aquino (un feudatario locale) sui confini di alcuni campi. A testimoniare a favore dei monaci Benedettini depose un contadino che, ovviamente, si espresse nel suo dialetto.

Ecco la frase che lo scrivano riportò pari pari nel documento del processo: “Sao ka kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sanctii Benedicti” (So che quelle terre, per quei confini che sono qui contenuti – probabilmente indicando nella mappa del podere – trent’anni le possedette l’ordine di San Benedetto).

Curiosamente… quel nostro primo scrittore scrisse giustamente tutte le c dure (quelle di casa, poco, scusa, ecc.) con la k. Consuetudine che poi – chissà perché – fu considerata scorretta dall’ortografia nazionale ma che sta ritornando fortemente di moda nelle nostre chat quotidiane (sms, Whatsapp, Facebook, ecc.): ke fai stasera?